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1939 – 1945 ANNI TERRIBILI ……..mio papà nato nel 1923 raccontava

Chissà quante volte papà nella sua infanzia avrà udito le parole libertà e indipendenza, che prorompevano soprattutto nelle menti degli adulti che combattevano per poter acquisire tali denominazioni in favore della democrazia.
Il futuro papà ancora giovane riusciva a concepire queste cose e la partecipazione corale, degli uomini e delle donne alla lotta di liberazione. Fu veramente lotta di popolo, partecipazione collettiva. Senz’altro, non leggendo sui libri di testo, ma di persona, sentiva le notizie che trapelavano, narrando dei sacrifici con eccidi efferati, come sarà inorridito nell’apprendere quello delle Fosse Ardeatine e Marzabotto, con le deportazioni di migliaia di italiani nei lager, dai quali, troppi, non sono tornati. Immaginiamo le persone che si sono trovate a Marzabotto in quella tremenda situazione preda della spietata crudeltà umana. Si angustiavano l’un con l’altro, ricevendo testamenti improvvisati: “se vedi mia madre salutamela, oppure se vedi mia moglie dalle un bacio per me”, con abbracci formidabili di terzi o di quarti come incoraggiamento, persone in procinto di essere uccise. Divenire consolatori maestri dopo la fine di quel macello, tacitarsi poco a poco di quel rovello (rabbia) fraterno, amichevoli per dimenticare quei periodi di sangue, placandosi dopo molto tempo; cesellatori di dialoghi (coraggio la vita deve continuare) sulle fatuità delle altolocate politiche con i loro conferenzieri alla moda e prestidigitatori per diletto; con opera di apostolato laico: tessitori d’una rete di contatti per la ricerca dei dispersi, radunare e tumultuare nei cimiteri le salme dei caduti.
Mi sembra taloradi vedere coloro che hanno assistito, sfuggiti al massacro, con gli occhi fuori dalle orbite a spiegare, a raccontare, perché nulla era stato fatto per impedire il fattaccio, ripetendo più volte: perché, perché?
Uno stile di vita a volute e scintille, non un tema d’amore, ma del patire.
Si parla di adattabilità a tutte le evenienze del destino, eppure non mi riesce ad adattarmi un corno a pensare che per colpa della politica certi avvenimenti devono essere occultati, che obbligano a un certo di tipo di amministrazione.
Dal tono delle mie parole si capisce quale è la mia impressione, qualunque sia la vostra, anche se sono sicura che non è soltanto la mia.
Per l’ennesima volta le ingiustizie e le sopraffazioni hanno colpito le fasce più esposte, donne e bambini.
Il riscatto era iniziato con il “no” ai nazisti prima e ai fascisti dopo, quel “no” che era una dichiarazione di fedeltà alla Patria e al Tricolore che si era cercato di difendere di pari passo con libertà e democrazia con la forza della testimonianza.
Una cosa è vedere un film o leggere un giornale, ma quello che può toccare il cuore è vivere certe esperienze, vedere con i propri occhi.
Era già successo nel passato, qualcosa di simile a quello che avvenne a Montesole. La vicenda della “bandiera di Oliosi”. Anno 1866, terza guerra di indipendenza italiana: durante la battaglia di Custoza, nei pressi di Oliosi dieci ufficiali, compreso il portabandiera, del 44° Reggimento, si rinchiusero a difesa nella cascina Castellano d’Oliosi.
Sotto il comando del capitano Baroncelli sostennero per due ore e mezzo assalti del 5° battaglione Kaiserjager e poi del 2° e del 17° Hohenlohe; impossibilitati di tenere la posizione, valutando alcune avversità: senza soccorsi, poche munizione, incendio della cascina, decisero per la resa, ma prima di consegnarsi ai nemici stracciarono il drappo della bandiera in 13 pezzi, suddivisi tra i presenti che nascosero sotto la giubba.
Terminata la guerra fu possibile recuperare undici delle tredici porzioni del drappo e ricostruire così la bandiera; questo fatto sarà ricordato ogni anno nella terza domenica di giugno.
Ricordare è importante. Oggi, ad esempio, per non “dimenticare” le deportazioni, si fanno dei pellegrinaggi nei campi di concentramento anche se risulta doloroso saper di dover passare dalla stessa porta da cui entravano tutti quei prigionieri senza colpa che in gran parte non uscirono più. Toccare con mano le mura dove orribili bestialità venivano perpetrate a scapito di uomini, donne e bambini.
Non possiamo scordarci dei sacrifici di alcuni valorosi che soffrirono, morendo da innocenti, incolpevoli, esempio: Padre Kolbe, Salvo D’Acquisto, ex allievo salesiano e altri, come quei militari tedeschi che rifiutando di far parte del plotone d’esecuzione, han preferito schierarsi con gli ostaggi che venivano fucilati.

La parola pace è sinonimo di educazione al rispetto degli altri, alla dignità.
Purtroppo questo sostantivo femminile singolare verrà minato spesso dal risuonare della parola “guerra”.
Anche se la parola guerra è stata sostituita nel corso del ‘900 da “terrorismo” con la sua trama destabilizzante.
Praticamente questo mio ricordare è saldare in un ricordo unico valori identici (missioni per la ricerca della pace) ma in tempi diversi; tanto per fare un esempio parlando della continuità storica, occorre ricordare i caduti di periodi in cui non c’è una guerra dichiarata che tuttavia producono vittime, mutilati, invalidi, sofferenze e che sono il prolungamento storico, in tempo di “pace”, delle deportazioni, dei lager, dei campi di sterminio, delle pulizie etniche, di Cefalonia, delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, della Bosnia, e dell’Iraq (penso alle vittime di Nassiriya). Analogie come per dire la necessità di saldare il passato al presente, per assicurare il futuro.