EMMA

Emma era la minore di tre sorelle, il padre era un uomo bigotto e autoritario, concepiva per le figlie due sole attività : il lavoro e la santa messa.
Emma però era ribelle, insofferente al ricamo, ai lavori nei campi, alla cucina e a tutto quello che allora, si riteneva dovessero essere le incombenze e gli interessi di una ragazza; leggeva molto e fantasticava di una vita di viaggi e incontri, di cinema e teatri.

Aveva sedici anni e camminava sul ciglio della strada.
Nella bassa, c’era quella luce che fa riposare lo sguardo dopo gli accecanti pomeriggi estivi e fa appoggiare la mente sui mattoni caldi, ravvivandola e creando pensieri arditi e inquieti.
Aveva consegnato della biancheria ricamata e portava in una sporta la nuova tela da ricamare, un rotolo pesante e ingombrante; appoggiò male un piede e cadde.
La sporta si rovesciò, l’involucro si aprì e si trovò carponi, a guardare il tessuto candido imbrattarsi nella polvere. Imprecò ad alta voce e sentì dietro di lei una risata.
“Che c’è da ridere?” chiese furibonda, a un ragazzo più grande di lei che, a cavalcioni di una bicicletta, la guardava divertito.
“Bè, mi pare tu non ti sia fatta niente di male e mi è venuto spontaneo ridere”.
“Sei un cretino!”
“Ma grazie!” e rise di nuovo.
Emma raccolse un pugno di polvere e sassi da terra e glieli tirò addosso.
“Ah ma allora sei proprio arrabbiata! Su che ti aiuto. Non è successo niente” aggiunse il ragazzo con tono calmo.
“Lo dici tu. Adesso mi toccherà lavarla questa tela e poi stirarla, accidenti!”
Emma continuava a sbuffare ma un po’ si era calmata mentre il ragazzo le allungava una mano per rialzarsi.
“Dai che attacco la sporta al manubrio, è pesante. Dove devi arrivare?”
“Abito qui dietro, vado da sola” gli rispose Emma. Se suo padre l’avesse vista arrivare con un ragazzo, sai che scenata!
“ Come vuoi. Mi chiamo Armando, vieni alla festa del patrono, domenica?”
“Boh, se vengono le mie sorelle, può darsi. Ciao!”
Fu il loro primo incontro, ne seguirono altri, fino a quando Armando trovò il coraggio di andare a fare la proposta di matrimonio, in maniera ufficiale, alla famiglia Rimondi. Il padre di Emma non ne fu contento perché Armando era considerato un elemento inviso al regime in quanto antifascista, ma si sposarono ugualmente quando lei aveva 18 anni e lui 28, .
Poco tempo dopo, Armando fu scoperto mentre diffondeva volantini “sovversivi” sul luogo di lavoro, fu mandato in carcere e poi al confino in Sardegna.
Emma lo raggiunse nell’agosto del 1931.
Non si era mai mossa da casa, non aveva mai visto il mare e rimase col fiato sospeso quando si trovò a guardare l’orizzonte tinto di blu e verde che incontrava il cielo.
Messi i piedi sull’isola, l’immagine del mare scomparve, ingoiata da un lungo viaggio in pullman.
Le strade erano dissestate, la vegetazione selvaggia e rada, il paesaggio era brullo e increspato, sembrava di un altro mondo.
Finalmente, in serata, arrivò a Borore.
La vita in Sardegna si rivelò durissima; Emma trovò lavoro in un’osteria e dopo poco rimase incinta. Diede alla luce la sua bambina in una stalla, tra la paglia. Armando ci scherzò su, come faceva di solito, con una battuta: “ E’ nata in una stalla come Gesù bambino, ma visto che io sono ateo, è nata femmina!”
Il clima malsano non giovò a nessuno di loro che si ammalarono di malaria. Tormentata dalle febbri e preoccupata per la figlia Massimiliana, Emma tornò dai suoi genitori.
Armando fu trasferito a Ventotene per completare il periodo di confino, poi la sua condanna fu commutata e potè rientrare.
L’8 settembre 1943, alcuni amici, scappati dal fronte, furono nascosti nei granai e nelle cantine. Si cominciarono a riunire in un capanno tra le risaie con Armando, che non aveva mai rinunciato a svolgere attività di opposizione al regime.
Nel 1944, diventò partigiano nella seconda brigata Paolo Garibaldi. Emma lo seguì e si rese disponibile come staffetta, per portare armi e messaggi.
Partecipò anche all’assalto alla sede municipale di Castel Maggiore; l’intento era di distruggere gli elenchi dell’anagrafe per evitare che i fascisti e i tedeschi potessero venire in possesso dei nominativi dei giovani compresi nell’obbligo militare.
La guerra a San Pietro in Casale finì il 22 Aprile del 1945.
Le formazioni partigiane del luogo, per evitare il bombardamento a tappeto del paese e la morte di centinaia di civili, avevano preso contatti con gli angloamericani per scacciare sul terreno i tedeschi in ritirata.
Emma aveva deciso di partecipare alla battaglia perché Armando era febbricitante, ma lui fu irremovibile.
“Non se ne parla neanche, andrò io, tu rimani con la bambina”.
Le abbracciò e le baciò entrambe.
Emma lo guardò uscire dalla porta e lo seguì mentre attraversava fino in fondo la via, lo rivide solo il giorno dopo, in una bara tra le venti vittime della battaglia finale che aveva liberato il comune.
Visse i festeggiamenti per la fine della guerra come sospesa, con l’animo ferito che continuava a sanguinare e a dolere.
Negli anni che seguirono, fu completamente ingoiata dalla necessità di sopravvivere e di proteggere la figlia.
Andava a trovare Armando al sacrario per i caduti della Resistenza, ne accarezzava la fotografia sulla lapide e gli parlava: “Sai, la vita è ancora dura, nonostante il tuo sacrificio. Noi poveri siamo ancora poveri e i ricchi ancora comandano, ma Massimiliana è brava e io riesco a venire qui a trovarti con le mie gambe.”
E ci tornò sempre a trovarlo, fino alla fine dei suoi giorni