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Il primo giorno di Nilde alla Costituente

Era il 25 giugno del 1946, quel giorno fu il mio primo giorno di lavoro come usciere della camera dei Deputati e proprio quella mattina entrarono per la prima volta in aula i cinquecentocinquantasei eletti all’Assemblea Costituente incaricati di redigere la Costituzione della neonata Repubblica Italiana.
Quella mattina entrarono dal portone, per la prima volta 21 deputatesse, come allora le chiamavano sprezzanti i cronisti, e tra loro c’era la giovanissima Nilde Iotti. Io la conoscevo di vista perché veniva, come me da Reggio Emilia. Aveva allora 25 anni, era tuttavia una donna severa nel suo abito nero con il colletto bianco, con un’aria da maestra di scuola, severa anche se mostrava un grande sorriso, ampio e fiducioso.
Io l’avevo vista arrivare in bicicletta alla mia base partigiana, ci recapitava viveri e calze di lana era nei GDD Gruppi di Difesa della Donna e faceva la staffetta.
Quel giorno quando raccontai a mia madre al telefono del mio primo giorno di lavoro le dissi di aver visto la nostra concittadina Iotti e lei mi disse che nel ‘45, un anno prima di essere eletta in consiglio comunale l’UDI l’aveva incaricata di studiare la condizione in città delle famiglie più bisognose e tante famiglie l’avevano avuta in casa che faceva domande, s’interessava dei loro problemi, era stata anche dalla nostra vicina la Olga del piano di sotto e le aveva fatto raccontare i suoi guai promettendole che tante cose presto sarebbero cambiate per le donne ora che avevano il voto e con quello potevano decidere da chi farsi rappresentare e anche essere elette.
Di fatti proprio lei, dopo il voto del 2 giugno con cui abbiamo scelto la Repubblica, cacciando via il re, è stata eletta in quest’assemblea costituente per scrivere le leggi fondamentali della nostra futura convivenza civile.
Il giorno dopo l’ho incontrata nuovamente nei corridoi del palazzo e mi sono avvicinato timidamente e ho avuto il coraggio di ringraziarla per le calze e il cibo che ci portava su alla brigata partigiana e le dissi, da parte di mia madre, che aveva tanta fiducia in lei, e che era certa che avrebbe davvero cambiato le cose per le donne con il suo impegno politico.
Allora Nilde sorrise e mi confidò che il giorno prima entrando aveva il cuore che le batteva forte, “non tanto per l’emozione di trovarmi per la prima volta in un ambiente estraneo, quanto per il pensiero sempre presente che in quella sala stava nascendo ufficialmente la nuova Italia repubblicana”.
Certo era una bella responsabilità per una ragazza così giovane, le dissi e lei volle che rassicurassi mia madre perché nella sua voce in quell’aula ci sarebbe stata la voce di tutte le madri e di tutti i bambini d’Italia.
“Una voce- disse- molto spesso dolorosa e accorata che ricorda case distrutte, deschi senza pane, miseria continua e terribile. Noi dovremo lottare perché le tante rivendicazioni delle donne
d’Italia siano esaudite, sappiamo che il cammino è duro e difficile, ma ci sorregge la nostra fede e la nostra volontà”.
Era passato solo un mese dall’insediamento dell’Assemblea, quando, il 20 luglio Nilde Iotti venne chiamata a far parte della Commissione dei Settantacinque a cui spettava redigere il progetto di Costituzione che poi sarebbe stato discusso dall’assemblea intera. Della Commissione facevano parte solo cinque donne, oltre a lei ci sono Teresa Noce, Maria Federici, Angelina Merlin, Angela Gotelli. Nilde in quei giorni incontrò nel “Salone dei passi perduti” Palmiro Togliatti con il quale condividerà tanta parte della sua vita politica e sentimentale.
La Commissione venne suddivisa a sua volta in tre sottocommissioni, Nilde Iotti venne assegnata alla prima, che si doveva occupare di Diritti e dei doveri dei cittadini. Le viene affidato il delicato compito di preparare una relazione in materia di famiglia, un’altra sullo stesso tema venne affidata al democristiano Camillo Corsanego che in aula la chiamava «onorevole Signorina». Sono certo che questo appellativo la facesse sobbalzare dalla sedia ogni volta.
Quando pronunciò la sua relazione affermò che la famiglia rappresenta “il nucleo primordiale su
cui i cittadini e lo Stato possono e debbono poggiare per il rinnovamento materiale e morale della vita italiana”. Tuttavia sottolineò con forza che la famiglia, come era concepita allora, era “antidemocratica” soprattutto per il fatto che “uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate che la pongono in posizione di inferiorità”, così che, tenne a precisare “la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona”.
Le donne ormai avevano avuto il voto, attivo e passivo, Nilde stava dicendo che era il momento che la donna venisse “emancipata dalla condizione di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita a una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina”. L’uguaglianza e la pari dignità doveva partire proprio dalla famiglia.
Mia madre pianse quando le riportai le parole di Iotti e nel suo pianto sentii il riscatto di secoli di sottomissione ai padri e mariti e decisi che anch’io sarei dovuto essere in futuro un marito e padre diverso da quelli che mi avevano preceduto nella nuova Italia, chiunque sarebbe diventata mia moglie sarebbe stata mia pari e non si sarebbe mai dovuta sentire inferiore. Era davvero una nuova era.