La frittata
Alice scalcia impaziente i piedi sotto il tavolo. Una cameriera ha appena appoggiato davanti a lei una grossa frittata fumante. La sala tutta intorno si riempie di chiacchiere e di esclamazioni soddisfatte:
“Mm… mamma mia, la frittata più buona che ho mai mangiato!”
La bocca di Alice si riempie di saliva. Vedo la forchetta tremare nella sua mano e raggiungo il tavolo appena in tempo.
“Finalmente! Chissà se sarà ancora buona come quando la provai per la prima volta, tanto tempo fa.” Mentre sposto la sedia, mi guardo intorno e la mia mente si permea dei ricordi della mia infanzia a Gombio. L’atmosfera era diversa nel 1945, i nazisti erano stati cacciati e i partigiani ritornavano dalle loro famiglie vittoriosi. Per festeggiare, mamma Lucia mi aveva portato all’Osteria La Frittata, la più famosa del verde Appennino Reggiano, simbolo glorioso della Resistenza italiana.
Nelle grandi tavolate rotonde di legno si brindava ai caduti, ai vivi e alla pancia piena. Donne, uomini, bambini, soldati, contadini, ufficiali, tutti seduti insieme a festeggiare la libertà, bevendo vino e cantando tra sorrisi e sguardi inebriati. D’improvviso il silenzio, i calici che smettono di scontrarsi e le orecchie in ascolto. Nella stanza entrano due donne, Roser Ida e Ludesher Augusta, qualche passo dietro di loro due ragazzi giovani con un grembiule da cucina.
“Un brindisi a Ida e Augusta, perché senza di loro, non saremmo qui!”
“Evviva la frittata, evviva la libertà!”
L’Osteria La Frittata è un luogo magico, un punto di ritrovo tra le nuove e le vecchie generazioni, aperto subito dopo la guerra da due donne italo-tedesche, Ludesher Augusta e Roser Ida e due tedeschi arrivati con l’intento di radere al suolo Gombio e sterminare i suoi abitanti, finiti come disertori innamorati del luogo. I ricordi sfumano:
“Nonno tutto bene? Possiamo mangiare adesso?” mi chiede,
“Alice, sai che giorno è oggi?”
“Si, il 25 aprile, il giorno della Liberazione, l’abbiamo studiato a scuola”
“E sai chi sono quelle due donne nella foto?”, indico la parete, dove c’è una fotografia che ritrae due donne sorridenti. Un ritratto scattato in bianco e nero davanti all’entrata dell’Osteria. Alice scuote la testa.
“Sono Ludesher Augusta e Roser Ida, le due donne che salvarono Gombio dai nazisti durante l’occupazione tedesca del 1944. Il 25 aprile qui si festeggia la Liberazione con la Frittata della Resistenza, in onore a queste donne coraggiose”.
Alice si dimentica di avere fame e si mette in ascolto. L’incredibile storia di queste donne comincia quando si trasferiscono per amore a Gombio, una piccola località montana. Poche settimane dopo i massacri di Monchio e Cervarolo, nell’aprile del 1944, le truppe naziste organizzano un’altra violenta operazione di rastrellamento dell’Appennino reggiano. L’incubo dei miei genitori sono i saccheggi, le case bruciate, le uccisioni. Una bizzarra coincidenza di destino e coraggio cambia però le sorti del nostro paesino. Augusta aveva sfornato il pane e lo aveva messo caldo sul tavolo insieme ad una frittata. Improvvisamente era entrato in cucina un giovane soldato della Wehrmacht che senza esitare si era seduto a mangiare. Augusta, vedendo la scena, con fare deciso chiede al ragazzo, nella sua lingua madre: “Veh Lazzarone, ti hanno insegnato così l’educazione al tuo paese?” Le parole, pronunciate con tono severo e in un tedesco perfetto, mortificano il giovane, stupito di incontrare una connazionale proprio lì. Subito viene convocato il Comandante, che già aveva dato disposizione di radere al suolo il Paese. Mia mamma mi tiene la mano stretta mentre ci accerchiamo insieme agli altri attorno alla casa di Augusta. Vedo passare tra la folla Ida, chiamata anche lei a parlare con l’esercito nemico. La trattativa è lunga, incomprensibile a noi che non parliamo la loro lingua. Vedo le loro mani muoversi, le bocche aprirsi e chiudersi a vocaboli inafferrabili. I loro volti si distendono e le guance lasciano posto a grandi sorrisi stupiti. Mi chiedo cosa starà succedendo. La coincidenza vuole che il comandante sia nato come Augusta Ludesher nella zona di Mannheim e che la zia della donna era la sua libraia. La sfiducia si sgretola e così, quando Ida e Augusta testimoniano l’assenza di partigiani nascosti nel Paese, vengono credute. La tensione si allenta, come la stretta della mano di mia madre. Ci scambiamo sguardi dubbiosi, siamo salvi? Vediamo le camionette e i tedeschi lasciare Gombio, congedarsi con calorosi saluti. Euforici, sollevati, chiediamo chiarimenti. Scopriamo che avendo creduto alle due donne, i soldati avevano deciso di proseguire e risparmiare Gombio e i noi, compresi i partigiani che si nascondevano in Paese. Qualche tempo dopo, le due coraggiose donne commentarono così la vicenda:
“Ma lo sapete anche voi che, in fondo, non si è trattato della frittata. A volte basta la voce di una donna per fare ricordare che nessuno è nato carnefice.”
In estate vedemmo i due giovani tedeschi, che ritornarono come disertori dell’esercito, non per combattere ma per restare. Ammaliati dal luogo e dalla gentilezza delle due donne, con loro aprirono l’Osteria La Frittata, per celebrare il loro incontro con le nostre salvatrici. “La frittata della resistenza”, offerta da allora a tutti i clienti che si avventurano tra queste colline solitarie. Perché attraverso la cucina si può onorare l’identità di popoli e persone, e un piatto può simboleggiare la libertà.
“Ora Alice, possiamo mangiare”