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La visita del re alle Fortuzzi

Era l’8 giugno del 1918 e quella mattina ero emozionatissima perchè alla mia scuola veniva in visita il Re Vittorio Emanuele III. C’era la guerra allora e la mamma doveva andare a lavorare perché potessimo tirare avanti senza il papà che era al fronte.
Anche per questo motivo era contenta che io potessi andare in una scuola bellissima dentro i Giardini Margherita le Ferdinando Fortuzzi. “La prima scuola all’aperto del regno” aveva detto il Sindaco quella mattina, orgogliosamente. Una scuola che fin dal 17 era aperta a bambine e bambini un po' malaticci, come me, predisposti alla tubercolosi o convalescenti. Ci dicevano che dovevamo stare all’aria aperta per diventare più forti e che dovevamo mangiare tanto per crescere. Per mangiare mangiavamo! Accidenti! La bidella ci rimpinzava per bene e poi ci faceva il bagno uno per uno e ci sgurava con l’acqua e il sapone.
In quella scuola stavamo quasi sempre all’aperto, anche d’inverno. Ci avevano dato delle bellissime mantelline nere, le capparelle, per tenerci al caldo e facevamo anche i riposini all’ombra degli alberi sotto le copertine.
C’era sempre un medico a scuola che ci visitava per vedere se i nostri malanni miglioravano.
Facevamo l’orto e tante corse sui prati. Ogni giorno c’erano scoperte da fare, nulla era mai uguale al giorno prima.
Era una scuola bellissima, di tre padiglioni in mezzo al grande parco. Stavamo a scuola 7 ore d’inverno e 8 d’estate 12 mesi su 12.
Quella mattina del 1918 eravamo tutti agitati: dovevamo cantare per il Re! Avevamo paura di sbagliare, di fare brutta figura, ma la maestra ci dava coraggio.
Quando arrivò Vittorio Emanuele III gli lanciammo fiori e cantammo “Il canto degli italiani” senza stonare. I più grandi suonarono la “Marcia reale”. Sua Mestà si congratulò con il Sindaco Francesco Zanardi e con l’assessore all’istruzione Longhena per la nostra scuola perché, disse, era “all’avanguardia”.
Visto che ero molto piccola allora e facevo tenerezza, fui scelta per portare al Re un cesto di frutta degli alberi che noi studenti coltivavamo. Mentre gli porgevo il cestino mi tremavano le gambe. Il Re mi fece una carezza e ringraziò tutti col capo, poi ci lasciò perché voleva andare a visitare anche il forno del pane voluto dal Sindaco per sfornare tutti i giorni un pane buonissimo che anche la mamma poteva permettersi di comperare a pochi centesimi e che arrivava persino ai soldati come il mio papà, al fronte.
La mamma diceva sempre che prima del febbraio del 17 quando aveva aperto il forno municipale, il pane, se lo compravi dai fornai cittadini, era di pessima qualità e non lo cuocevano del tutto per farlo pesare e quindi costare di più.
“Con la scusa della guerra i commercianti si approfitta della povera gente”, diceva sempre la mia vicina, la Olga alla mamma, quando chiacchieravano dalla finestra, mentre il pane del sindaco era fatto bene e costava poco.
Anche il Carlino scrisse che il Re si era complimentato con Zanardi per tutto il suo impegno nel sostenere la popolazione in quei difficili anni di guerra! “Pensa, il Re ha stretto la mano a un socialista che sogna la Repubblica che è il contrario della monarchia!” aveva commentato Olga quella sera.
Fu un gran giorno quello: incontrai il Re d’Italia e il Sindaco di Bologna che era già un eroe leggendario in città e che tutti chiamavano “Il sindaco del pane”.
Non dimenticherò mai la libertà di quegli anni alle Fortuzzi, le corse e i pisolini sotto agli alberi. Mentre intorno era guerra, la città intera si faceva in quattro per dare a noi bambini e bambine tranquillità e gioia, per farci studiare perché potessimo costruirci un futuro migliore dei nostri genitori.