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Noi volevamo giocare

NOI VOLEVAMO GIOCARE
Mi chiamo Martino e ho 9 anni e mezzo. La zia di mia mamma, che poi è la mia prozia, mi ha raccontato di una storia accaduta a suo papà, che poi sarebbe il mio bisnonno, Alessio.
Questa storia gli è accaduta più o meno quando aveva la mia età, nel 1944, mentre stava giocando con degli amici. Ho pensato allora di immaginare di essere uno dei suoi amici.
Nel 1944 a Bologna c’era la guerra. In realtà non era una guerra di Bologna ma una guerra di grandi dimensioni che ha coinvolto tanti Paesi, sia dell’Europa che di altre parti del mondo ed è per questo che è stata chiamata la seconda guerra mondiale, che era iniziata nel 1939. In quel periodo anche Bologna come tante parti d’Italia erano state conquistate dalle truppe tedesche.
Alessio abitava in via Nosadella con la mamma, il papà e i suoi tre fratelli ed una sorella. In quella via ci abitavo anche io e molti dei suoi amici con cui giocava appena poteva. Lui era nato a Grizzana Morandi nel 1933, ma da un paio di anni la famiglia si era trasferita in città perché era ritenuta più sicura del paese che si trova ai piedi dell’Appennino Tosco Emiliano.
Nell’Appennino si rifugiavano in particolare quelli che non accettavano il regime fascista che all’inizio della guerra sosteneva le imprese dell’esercito tedesco e poi all’occupazione nazista, i partigiani. Anche uno zio di Alessio era andato nei boschi perché si era rifiutato di fare il soldato dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana e così era diventato partigiano della Resistenza. Per questo la mamma di Alessio fu sottoposta ad interrogatori e le misero anche della pece nei capelli. I militari speravano così di ricattarla e farsi dire dove era nascosto il fratello, ma lei era tanto che non lo vedeva e non sapeva proprio cosa dire. Rimase molto spaventata da quella storia e molto arrabbiata.
Andavamo a scuola ma spesso le lezioni venivano interrotte dal suono delle sirene e non era facile stare attenti e imparare le cose. Ad Alessio però piaceva imparare specialmente la matematica. In quell’epoca i bambini potevano camminare per la città anche da soli e noi andavamo spesso in via Saragozza fino ai giardini vicino alla piazza di Porta Saragozza. A volte portando anche le galline per farle mangiare l’erba fresca. Altre volte ci divertivamo a lanciare i sassi facendo a gara di chi li lanciava più lontano.
Un giorno proprio al bordo della strada vicino al giardino Carlo trovò una specie di sasso di metallo, per un po’ abbiamo giocato a lanciarcelo. Poi abbiamo visto un soldato tedesco e gli abbiamo chiesto cosa fosse, ma lui sembrava non capisse le nostre parole e si allontanò. Noi continuammo a stare lì e a tenere quella specie di piccola palla ovale. Poi Delsio, uno dei fratelli di Alessio, aveva bisogno di fare la pipì e se ne andò dietro a degli alberi dall’altra parte della strada. Alessio, Ugo, Franco si erano messi a giocare con dei bastoni mentre Carlo aveva tenuto quell’oggetto. Io e Gianni eravamo andati a vedere altri bambini che stavano giocando a sassetti.
Ad un certo punto abbiamo sentito un frastuono fortissimo, un grande botto, non abbiamo fatto in tempo a girare la testa che subito abbiamo sentito degli urli fortissimi. Carlo era come impazzito, era tutto ricoperto di sangue e diceva che non sentiva e non vedeva. Alessio, Ugo e Franco erano caduti a terra e tremavano come foglie. Delsio era corso in fretta e stava cercando di capire cosa era successo. Il tedesco era sparito. Io avevo chiesto aiuto a dei signori che erano vicino, ma avevo paura ad avvicinarmi di più. Anche Alessio e gli altri bimbi stavano soffrendo tanto.
Solo dopo abbiamo saputo che Franco cercando di smontare quell’oggetto aveva tirato una levetta. Quell’oggetto era una bomba a mano.
Noi volevamo solo giocare. Franco ha perso un braccio e un occhio e anche l’altro era gravemente ferito. Alessio ha tenuto schegge di metallo nelle gambe per tutta la vita. Da ragazzino gli facevano molto male poi con il tempo si è abituato alla loro presenza. Ogni tanto in aeroporto faceva suonare l’allarme dei metal detector!
Delsio, io e gli altri amici più distanti non abbiamo avuto conseguenze se non un grandissimo spavento e un brutto ricordo che non si sarebbe mai più cancellato dalla nostra mente, come quello degli allarmi e dell’eco delle bombe.

Io non ho mai visto le gambe del nonno perché lui è morto quando ero piccolo, me le ha descritte la zia e anche la mamma se le ricorda.
A volte noi bambini giochiamo a fare la guerra e a spararci o farci gli agguati, non pensiamo mai a cosa significhi veramente viverla. Io spero proprio di non viverla mai e che i bambini di tutto il mondo possano giocare con dei giochi veri.